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La Storia


L'universale vocazione alla santità

Il Concilio Vaticano II ha affermato che “il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la santità della vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore (…). Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità (…). Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura del dono di Cristo, affinché seguendo il suo esempio e fattisi conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con tutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescere apportando frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia della chiesa, dalla vita dei santi”

(Costituzione Lumen gentium, 41)


La vita consacrata

Il medesimo Concilio ha anche ricordato che “il raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici trae origine dalla dottrina e dagli esempi del Divin Maestro e appare come una splendida caratteristica del Regno dei cieli (…). Fin dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo dei della pratica dei consigli evangelici intesero seguire Cristo con maggiore libertà e imitarlo più da vicino e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio. (…) Cosicché per disegno divino si sviluppò una meravigliosa varietà di comunità religiose”.

(Decreto Perfectae caritatis, 1)


La vita contemplativa

Il Vaticano II ha affermato che, tra le varie forme di vita consacrata, c'è quelle delle Comunità i cui “membri si occupano solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, nella continua preghiera e nella gioiosa penitenza” (Decreto Perfectae caritatis, 7). Le Comunità contemplative “offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode e producendo frutti abbondantissimi di santità sono di onore e di esempio al popolo di Dio, cui danno incremento con una misteriosa fecondità apostolica. Esse costituiscono una gloria per la Chiesa e una sorgente di grazie celesti”

(ibid.)


Le Domenicane contemplative

Le religiose contemplative o “monache dell'Ordine dei Predicatori nacquero quando il santo Padre Domenico associò alla sua 'Santa Predicazione', con l'orazione e la penitenza, le donne convertite alla fede cattolica, riunite nel monastero di Santa Maria di Prouille e consacrate a Dio solo” (Costituzione fondamentale delle Monache Domenicane). Esse si associano con la partecipazione alla vita liturgica, con l'ascolto della Parola e con la preghiera di lode e di intercessione, all'impegno di annuncio del Vangelo, di comprensione della Verità e di testimonianza della carità che tutti i credenti e in particolare gli appartenenti all'Ordine di San Domenico realizzano in tutto il mondo. Perciò, con una modalità speciale e di particolare efficacia, perché realizzata nel nascondimento e nella dedizione esclusiva a Dio, esse danno un importantissimo contributo alla realizzazione del progetto di salvezza della Trinità, a favore di tutto il mondo.




La fondazione del Monastero e l’ambiente sorrentino del Cinquecento

Chi entra nella Chiesa delle domenicane di Sorrento non può non ammirare la ricchezza artistica che la distingue. Si è potuto giustamente affermare che S. Maria delle Grazie va considerata una vera e propria «antologia dell'arte meridionale» tra Cinquecento e Settecento, di quella pittorica in particolare (Pacelli, a cura di, La chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie in Sorrento, Napoli 1990, p. 21).
Ma che cosa dice a uno storico tutta questa suggestiva successione di immagini e di forme artistiche? Occorre interrogarsi sul centro monastico di cui la Chiesa ha fatto parte fin dalle origini.
Si pensi ai numerosi committenti che hanno sollecitato gli artisti ad eseguire quanto essi hanno poi realizzato. In altre parole, se oggi a Sorrento ci sono tavole, sculture, linee architettoniche che richiamano l'attenzione del visitatore, è perché ci fu un certo tipo di monastero a fare da catalizzatore; ci furono alcune persone, particolarmente sensibili a certi problemi, che lo impiantarono e vi inclusero una chiesa; ci fu una particolare visuale della vita claustrale femminile a esigerlo.

(P. Michele Miele O. P.)


I promotori della fondazione

Indubbiamente il primo personaggio ad emergere è quello della fondatrice, Bernardina Donnorso, raffigurata non meno di tre volte nei reperti della chiesa. Nella storia del Monastero la Donnorso costituisce l'esempio di quella generosità che i laici più altolocati nella Sorrento del Cinquecento mostrarono verso le istituzioni ecclesiastiche più caratteristiche dell'epoca moderna.
La fondatrice si giovò anche della decisa azione dei vescovi della città: il bergamasco Giulio Pavesi, domenicano e arcivescovo di Sorrento dal 1558 fino alla morte (1571), il prelato che ebbe il merito di dare la giusta direzione al monastero fin dagli inizi, grazie anche a quanto deciso nel concilio provinciale del 1567, e il piemontese Giuseppe Donzelli, domenicano e arcivescovo di Sorrento dal 1574 fino alla morte, avvenuta nel 1588.

Inoltre, occorre tener in considerazione non solo o principalmente il sostegno economico che i laici avrebbero potuto offrire o negare. Era con i loro schemi mentali sul ruolo dei monasteri della città che occorreva fare i conti. Un lavoro di Gabriella Zarri ha messo in rilievo lo strettissimo rapporto che, a quest'epoca, intercorreva tra i monasteri di clausura e la città in cui essi erano insediati (G. Zarri, Monasteri femminili e città (secoli XV-XVIII), nel volume collettivo La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contemporanea, Torino, 1986, pp. 357-429).
Gli anni decisivi del Monastero sorrentino si collocano dunque in un contesto, che è, nello stesso tempo, religioso, cittadino e sociale.

(P. Michele Miele O. P.)


La fondazione del 1566

C'è una data da cui partire. È quella del 29 dicembre 1566, giorno in cui la fondatrice Bernardina Donnorso fece redigere lo strumento di fondazione del nuovo complesso. Ad attestarlo è Bartolomeo Capasso, che vide il relativo atto notarile.
Nell'arcidiocesi di Sorrento l'attuazione del Concilio di Trento, con tutte le sue implicazioni, era affidata a un uomo che la ricerca storica non ha esitato a definire eccezionale. Tale infatti fu Giulio Pavesi, fautore sincero della riforma, dotato di ampie vedute, temprato da varie esperienze, amico di personaggi quali Girolamo Seripando, Giulia Gonzaga e Giovanni Marinoni.
Quando nel 1566 si vide presentare l'iniziativa della Donnorso, Pavesi era a Sorrento già da otto anni.
In tutti questi anni Pavesi, a parte il periodo trascorso a Trento, si era dato da fare per far rimarginare almeno in parte le ferite inferte dal ciclone turco sia sul piano materiale che su quello umano.
Quanto alla vita claustrale femminile, egli si era subito trovato davanti a un duplice scontro: quello che opponeva una parte della nobiltà (Dominova) all'altra (Porta), e quello che metteva la nobiltà contro il resto della popolazione (piazza del Popolo, quest'ultima, con ogni probabilità dominata, come sempre, dai ceti alto-borghesi e da quello delle professioni, da coloro cioè che erano nobili di fatto, se non di diritto, e vivevano quindi more nobilium).
Ogni gruppo aveva soluzioni diverse sui Monasteri, di cui era insieme, almeno in parte, finanziatore e usufruttuario (erano le donne dei vari gruppi, infatti, che risiedevano nei monasteri della città).

La Donnorso, nonostante la sua appartenenza alla cerchia della nobiltà (anche grazie al defunto marito, della casata Anfora), si schierò fin dagli inizi, con la sua fondazione, con il ceto popolare. Il problema sarebbe però stato avviato a soluzione solo col concilio provinciale dell'anno seguente (11-15 maggio 1567) e le connesse, successive, delibere vescovili del 18-19 agosto 1568, in forza delle quali i cinque monasteri tradizionali della città vennero accorpati e ridotti a due soltanto (Trinità e SS. Paolo e Giovanni), cui venne aggiunto quello di S. Maria delle Grazie voluto dalla Donnorso, libera ormai di far completare il nuovo complesso e aprirlo alle prime monache.
In conclusione, dal 1568 in poi, a Sorrento la vita di clausura rimase affidata a due nuclei ben distinti: quello, tutto nuovo, di S. Maria delle Grazie e quello approdato ai due monasteri ristrutturati della Trinità e dei SS. Paolo e Giovanni.
Era questa, nell'ambito della città di Sorrento, l'applicazione della riforma tridentina ai monasteri di clausura.

Se i popolani reclamavano il diritto che anche le loro donne potessero monacarsi in detti Monasteri, ovvero se ne erigesse uno, distinto e separato per la Piazza del Popolo, Bernardina Donnorso aveva già donato i suoi beni allo scopo che si fondasse, dopo la sua morte, un Monastero per questo Ceto.
Dal canto suo, Mons. Giulio Pavesio s’impegnò perché l'Opera venisse subito attuata. Concesse l'antica Chiesa di S. Catello, attigua alla Casa dei Donnorso, e poiché la rendita dei beni della pia Fondatrice non era sufficiente a trasformare la sua casa in Monastero, l'Arcivescovo aggiunse quattrocento ducati dal prezzo dell'abolito Monastero di S. Giorgio, ceduto ai Domenicani.
L'Istituto doveva essere di Monache Clarisse, come parla l'Istrumento della Donnorso, ma in ossequio al Sommo Pontefice S. Pio V, Domenicano, fu mutata la Istituzione in quella di Monache Domenicane, claustrali del Secondo Ordine.
Il Monastero cominciò ad aver vita subito dopo la celebrazione del Sinodo di Mons. Pavesio O.P. (15 maggio 1567) ove si era decisa la sua erezione.
Esistono tuttora nell'archivio del Monastero documenti amministrativi - di proprio pugno della Donnorso e della prima Priora del Monastero, Dorotea De Masso, rimontanti al 1582 - che dimostrano la fondazione del Monastero come antecedente alla data stabilita dalla Fondatrice e che, da principio, fu amministrato da lei.
Nel Monastero esiste un grande quadro a pittura della Immacolata con la Fondatrice Donnorso e la Monaca Domenicana, venuta da Roma, dal Monastero Domenicano di Santa Caterina, a mettere la clausura. Il quadro porta la data del 1582, e la stessa data porta il celebre quadro del pittore Silvestro Buono, che si venera sull'altare maggiore della Chiesa, ove è dipinta artisticamente la Madonna della Grazie, ed ai 60 piedi si vede il ritratto della Donnorso, in abito Domenicano.

È da notare che - mentre il Monastero fu costruito dalla fondatrice, ricevendo in donazione la chiesa di S. Catello, oggi trasformata nel refettorio - la Chiesa fu costruita a spese delle monache nel 1570, come si rileva dai documenti dell'archivio. Nel 1775 fu costruito l'organo.

(P. Michele Miele O. P.)


Il nome del Monastero e della Chiesa

Dopo la fondazione del monastero, molte giovani donne, chiamate da Dio alla vita religiosa e claustrale, vennero a consacrarsi.
Quando i sacri bronzi del monastero, alla cinque del mattino, annunciano il nuovo giorno, le monache, già deste da parecchio, si accostano alla sacra mensa, prima d'incamminarsi alle loro quotidiane occupazioni. Si sforzano di seguire le tracce del divino maestro in tutti i singoli atti di obbedienza, carità, sacrificio, abnegazione, mortificazione.

Costituito il monastero, sorsero discussioni sul titolo da imporgli. La questione non era ancora risolta quando un giorno accadde qualcosa che pose fine alle discussioni, avendo l'aria di un suggerimento prodigioso.
Un venerando vecchio entrò nella portineria esterna recando un pesante simulacro della SS. Vergine delle Grazie.
Adagiandolo a terra, disse alle monache presenti: «Ecco il titolo che dovete imporre al vostro monastero». Detto ciò, disparve, e non fu più rintracciato per quanto lo si cercasse in tutta Sorrento.

La soppressione del 1861

Per effetto del Decreto 17 Febbraio 1861, il Monastero di S. Maria della Grazie fu soppresso, e più tardi, il 3 novembre 1865, le monache furono scacciate. Esse trovarono asilo nel Monastero dell' Annunziata in Massa Lubrense, ove dimorarono per lo spazio di nove anni, cioè fino al 14 agosto 1874.
Tuttavia, quando esse tornarono, il Municipio di Sorrento si rese padrone di tutti i beni del Monastero. Fece un piccolo assegno alle Suore esistenti, tollerando che esse seguitassero, come prima, ad abitare la loro casa, e trasformò i locali dell'annesso Monastero della Trinità, formandovi un orfanotrofio di fanciulle povere, al quale dette tutti i beni del Monastero.

Dopo il Concordato dell'11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e lo Stato italiano, la benemerita Madre Suor Maria Colomba Stiffa allora priora del Monastero, giovandosi dell' articolo 29, par. 6, che riconosce la personalità giuridica della Associazioni Religiose, avanzò domanda in data 22 aprile 1934 per il riconoscimento giuridico del Monastero, e l'ottenne con un Reale Decreto, che si conserva nell' Archivio del Convento.

(da Una memoria storica, Memoria scritta conservata nell’Archivio del Monastero)


La monaca santa di Sorrento

La monaca è Suor M. Luisa Maresca (1872-1912), che nacque a Napoli il 4 luglio 1872. Essendo sorte nella madre gravi problemi di salute, fu ritenuto opportuno porre la piccola Luisa nell'educandato del Monastero domenicano di S. Maria delle Grazie in Sorrento, dove tra le monache vi erano anche due zie paterne. Ebbe una solida formazione letteraria e musicale. Vivendo all'ombra di un monastero domenicano, attorniata da buone suore, crebbe e si irrobustì nella piccola Luisa la vocazione claustrale. Di qui il fermo proposito di non uscire mai da quel chiostro. Rientrata in famiglia, compiuti ventun anni, dopo solo venti giorni di permanenza nel mondo, se ne fuggì tutta sola dal palazzo dove dimorava e venne a bussare al portone del Monastero: era il l0 luglio 1893. Il 20 novembre di quello stesso anno avvenne la vestizione di Suor M. Luisa, ma in segreto, perché la madre continuava ostinatamente la lotta contro la figlia. L'anno seguente, il 10 dicembre 1894, emise la sua professione. Nel 1909 furono affidate a Suor M. Luisa, come Maestra, le educande; e tutte, unanimi, la ricordarono, poi, come una educatrice forte, intransigente, ma dal tratto delicato e soave, come una madre.
Alla fine del 1911 si manifestarono i primi sintomi della tisi e dopo pochi mesi, a soli quaranta anni, si spense. Era il 5 maggio 1912.
Una frase che rende a pieno l'ascensione mistica di un'anima che aveva fatto voto di amare sempre più Gesù Sacramentato - voto emesso il 5 giugno 1901 in seguito al «lume» ricevuto durante la Novena del Corpus Domini - si ritrova ancora in una sua Relazione: « Per quanto nella mia pochezza mi fossi sacrificata per Gesù Cristo, mai mi è sembrato di aver fatto qualcosa, anzi ho creduto di non aver fatto nulla; e mai ho pensato di volermi acquistare meriti. La mira è stata una, uno il mio ideale, cioè attestare a Gesù che io l'amavo come Egli esigeva da me».

(Suor Bernadetta Giordano O. P.)


Note: Tutti i brani sono contenuti nel volume Il monastero di Santa Maria delle Grazie in Sorrento, quarto volume della collana “Monasteri Domenicani d’Italia”.