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La chiesa


La Chiesa del monastero domenicano di Santa Maria delle Grazie, alla quale si accede attraverso un maestoso portale cinquecentesco in pietra vesuviana finemente decorata, è dal punto di vista pittorico un'interessante antologia dell'arte meridionale realizzata tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVIII.
La collocazione delle opere, presumibilmente risalente al '700, cioè all'epoca della prima sostituzione del pavimento della Chiesa, ha una logica interna molto interessante, fatta di rimandi e di allusioni: pur essendo prevalente l'esigenza di celebrare l'Ordine domenicano, non mancano raffigurazioni diverse, che tuttavia risultano anch'esse inserite con coerenza nel programma iconografico generale.
Si può iniziare questa visita della Chiesa dalla zona absidale, la parte certamente più antica della Chiesa.


Sull'altare si può infatti ammirare il polittico realizzato nel 1582 da Silvestro Buono, come si legge nella scritta sulla tavola centrale: "Silve­ster Bonus Neapolitanus faciebat 1582". La data è la stessa dell'Annun­ciazione dipinta dal Buono per l'Annunziata di San­t'Agnello.
Le cinque tavole che costituiscono il polittico sorrentino apparten­gono alla piena maturità del Buono, il quale dopo una prima esperienza pittorica "riformata", realistica e severamente devozionale - influenzata dalle trasformazione che il panorama religioso meridionale subì tra il 1540 e il 1550 con il diffondersi della reazione tridentina -, arricchì il suo stile a contatto con il manierismo toscano e romano, il realismo fiammingo, e le novità iberiche.
In questo polittico il Buono mostra una notevole abilità nel riela­borare i risultati pittorici a lui contemporanei alla luce della sua inclina­zione devozionale, senza cedere a quel patetismo che caratterizzò inve­ce le sue opere successive, nate nel periodo del sodalizio artistico con Giovan Battista Lama.


La tavola centrale, collocata sull'altare e raffigurante la Madonna delle Grazie col Bambino in braccio tra i Santi Giovanni Battista, Do­menico e la fondatrice, mostra inequivocabilmente l'adesione del Buono alla pittura controriformata.
Questa tavola è interessante anche sotto il profilo iconografico. La scelta delle figure ai piedi della Madonna obbedisce infatti alla necessità di celebrare la fondatrice del complesso monastico: il Battista allude al nome di un figlio di Berardina, San Domenico alla regola ispiratrice del monastero da lei fondato.
Il ritratto della nobile sorrentina offre un saggio della notevole abi­lità ritrattistica del pittore, che trova un'ulteriore conferma nella coeva tavola di Sant'Agnello e nelle tavole laterali nelle quali, tra l'altro, l'arti­sta mostra anche la sua abilità prospettico-spaziale.
Queste tavole presentano i Santi più noti dell'Ordine domenicano: Sant’Antonino di Firenze, San Vincenzo Ferreri, San Tommaso d’Aqui­no e San Pietro martire.
Il dipinto sulla destra raffigura Sant’Antonino, arcivescovo di Fi­renze canonizzato nel 1523, e rappresentato solo a partire dal XVI secolo.
Nella tavola a sinistra è invece raffigurato San Vincenzo Ferrer, il predicatore itinerante valenzano noto per la sua eccezionale oratoria.
Nei tondi in alto anch'essi del Buono si riconoscono a destra San Pietro martire, a sinistra San Tommaso d'Aquino.
Nel tondo a destra è rappresentato San Pietro martire di Verona, vissuto nel XIII secolo e assassinato da alcuni eretici. La sua iconografia è quella classica: la ferita alla testa e in una mano il libro e nell'altra la palma del martirio con tre corone di diverso colore.
Nel tondo di sinistra San Tommaso d’Aquino, nato nel 1225 e canonizzato nel 1323, noto per la santità della vita e soprattutto per la ecce­zionale profondità e vastità del suo pensiero filosofico-teologico che giustifica la preferenza della Chiesa cattolica nei confronti della sua sin­tesi dottrinale.
San Tommaso è raffigurato con l'abito domenicano, con una stella luminosa sul petto, simbolo della sapienza, mentre mostra un libro e il calice, per indicare il suo impegno assiduo nel conciliare lo studio e la preghiera.
Sulle grate poste ai lati dell'altare sono collocate due tele di Nicola Malinconico, pittore napoletano vissuto tra il 1663 e il 1721, noto come "giordanesco" perché subì la precipua ascendenza della coeva pittura di Luca Giorda­no, con il quale è stato spesso confuso.
Nicola Malinconico in tutte le tele di questa Chiesa dà prova dun­que della sua formazione seicentesca, ma anche di apertura alle novità settecentesche del Solimena.
La collocazione di queste opere non è affatto casuale: c'è come un filo tematico che collega le tele di Malinconico con i dipinti che sor­montano i due altari prossimi al transetto. Protagonista è Maria, la cui vita è riproposta in alcuni momenti particolarmente significativi: par­tendo da destra rispetto all'altare maggiore, abbiamo Maria bambina con i genitori; a sinistra, Maria in attesa di Gesù; sull'altare a destra lun­go la navata, Maria in visita presso Santa Elisabetta; sull'altare a sinistra, Maria come Madonna del Rosario e i suoi misteri.
Esaminiamo dunque le tele del Malinconico poste al di sopra delle grate:
Il dipinto collocato sulla grata di sinistra rispetto all'altare maggiore presenta San Gioacchino, Sant’Anna e Maria bambina.
Sensibilità e delicatezza, ma anche un giordanismo più risentito, caratterizzano l'altra tela, collocata sulla grata a destra dell'altare mag­giore: il Sogno di San Giuseppe.
Nella prima nicchia, a destra rispetto all'altare maggiore, è collocata una tela raffigurante la Visita della Vergine a Santa Elisabetta: risalen­te cronologicamente alla fine del XVI secolo o ai primi anni del succes­sivo, il dipinto è opera della bottega di Belisario Corenzio o proprio dello stesso maestro, ma deriva dalla tela eseguita da Federico Barocci nella Chiesa Nuova di Roma.
La tela collocata nella nicchia a sinistra rispetto all'altare maggiore, ed eseguita da un artista vicino ai modi di Nicolò De Simone, presenta l'Apparizione della Madonna del Rosario a San Domenico, a Santa Caterina da Siena e al Beato Raimondo di Capua, confessore, que­st'ultimo, della Santa senese e suo biografo.
Risalgono alla fine del XVI secolo e agli inizi del XVII le prime im­portanti versioni del tema del Rosario.
La tela in esame è circondata da quindici piccole tavolette cinque­centesche raffiguranti i singoli misteri.
Il "ciclo mariano" si conclude qui, con una delle forme di devozio­ne più raccomandata dalla Chiesa per rendere omaggio alla Madonna.
Esaminiamo adesso la volta absidale: essa è abbellita da un'opera, forse la più intensamente giordanesca del Malinconico, che raffigura un Sacrificio a Dio da parte del popolo ebraico.


L'artista napoletano realizzò anche la tela centrale del soffitto della navata con la Trasfigurazione di Gesù: la scelta dei temi anche in questo caso non è stata casuale, ma ha obbedito alla vo­lontà di creare un legame tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. D'altron­de nell'episodio evangelico della Trasfigurazione appaiono a colloquio con Cristo il profeta Elia e Mosè.
Proseguendo verso l'altare maggiore a sinistra si incontra una pic­cola nicchia, dove sono conservati i resti di Suor Maria Luisa Maresca, vissuta in questo Monastero, morta nel 1912 e qui traslata nel 1952: la monaca è molto venerata in tutta la penisola sorrentina per la sua esem­plare condotta di vita.
Ancora lungo il lato sinistro, tra le lese ne che dividono il primo dal secondo altare, è collocata una ruota bronzea girevole per il contatto delle monache con i fedeli presenti in Chiesa.


Percorrendo ora la Chiesa lungo il lato destro, in prossimità dell'in­gresso c'è una nicchia dedicata alla fondatrice Berardina Donnorso: la sua immagine è scolpita a bassorilievo su una lastra tombale che, in ori­gine, era collocata a terra al centro della navata, mentre ora è appoggiata verticalmente sulla parete interna della nicchia, quasi a vegliare sulle re­liquie conservate in un'urna che le sta davanti.
In una piccola nicchia prossima al transetto è collocata la statua li­gnea del Cristo coronato di spine, opera della prima metà del XVII se­colo, molto venerata dagli abitanti della città perché nel 1720 e nel 1858 dalla gamba destra sgorgò sangue vivo.
Pregevoli sono le cornici lignee delle tele, le grate della navata e quella del transetto, forse eseguite su disegno di Gennaro Sammartino, fratello del più noto Giuseppe, alla cui ascendenza si devono anche le decorazioni dell'altare maggiore, mentre le tre teste di angeli che sormonta­no la custodia del Santissimo sembrano opera di Matteo Bottiglieri.
Tutti gli altari, in marmo policromo scolpito e intarsiato, sono rea­lizzazioni settecentesche, di Gennaro Cimafonte.
Nella volta del catino absidale spicca per leggerezza di disegno e per straordinaria fattura una cornice di stucco dall'andamento sinuoso, che con una punta centrale si va ad inserire nello spazio concavo della decorazione marmorea che decora la grande tavola del Buono.
Ai lati dell'altare maggiore si trovano due grate: quella di destra, in legno dorato, è copia dell'originale bronzeo conservata nel Museo Cor­reale di Terranova in Sorrento, l'altra è un originale lavoro in bronzo, probabilmente del Granucci.
Nella zona absidale si può ancora ammirare il pavimento settecen­tesco dipinto con motivi floreali e animali e con lo stemma domenicano al centro, manifattura dei Massa, forse su disegno di Domenico An­tonio Vaccaro.
Tale pavimento, che aveva sostituito in tutta la Chiesa quello primi­tivo seicentesco - di cui si può conoscere il disegno attraverso i fram­menti raccolti in una bacheca conservata in sagrestia -, a causa del dete­rioramento è stato a sua volta sostituito, nel 1974, lungo tutta la navata con piastrelle che ne imitano il precedente motivo decorativo.


IDA CRISPINO e VINCENZO PACELLI